A3.4.jpg

Watchmen aziendali
storie di potere e dipendenza tra CEO e IT

Chi controlla i controllori (dei dati)?

La domanda di Alan Moore nei Watchmen non è solo materia da fumetti, ma un problema di governance che si gioca ogni giorno nelle PMI italiane …e il fatto che nessuno se lo chieda più è il segnale più chiaro di tutti: il controllo è passato di mano in silenzio.

Non mi riferisco qui alla generica delega in ambito funzionale, ma specificatamente a quella che negli ultimi decenni si è tramutata in eminenza grigia del potere: La funzione IT.

Questa, seppur indispensabile, nasce in azienda come servizio accessorio, equiparabile alla manutenzione: cavi, licenze, antivirus, aggiornamenti, per poi evolvere in datacenter, strutture remote, repliche di server e certificati digitali. Il tecnico diventa presto il pronto intervento 24/7 ed è l’unico capace di rimettere in piedi sistemi che altrimenti bloccherebbero fatturato e reputazione.
È un ruolo che crea gratitudine… e dipendenza.

Un watchman che sa tutto, che vede tutto e che può intervenire ovunque. E, senza che nessuno glielo chieda esplicitamente, comincia a decidere non solo come funzionano le cose, ma cosa debba essere possibile fare.

Dal suo punto di vista, è un’evoluzione logica. Ci sono limiti tecnici e di budget, problemi che richiedono decisioni rapide, colleghi che chiedono l’impossibile. La frase “non si può fare” scaturisce dalla necessità di sopravvivenza, ma finisce per diventare legge.

Un po’ come quando il Dottor Manhattan degli Watchmen si ritira: non per cattiveria, ma perché vede il mondo in modo che gli altri non possono comprendere.

L’ERP non produce un certo report? “Allora cambiamo il processo.” Il software non gestisce eccezioni? “Meglio adattare le regole.” In pochi anni, la tecnologia smette di essere un mezzo e diventa il metro di misura della realtà aziendale. Un’asfissia che si manifesta spesso con nuove richieste di strumenti software… senza che ci sia davvero chiarezza sul loro scopo…

…e, ovviamente, con l’ostruzione interessata dell’IT — spesso per sopravvivere a richieste deliranti piuttosto che per sete di potere. Nel frattempo, il CEO e gli altri manager - immersi nella routine quotidiana fatta di clienti, fornitori e scadenze — imparano a fidarsi. Troppo.

Per chi ha delegato all’IT, è un’abdicazione silenziosa: non per pigrizia, ma per mancanza di tempo, di strumenti, di competenze specifiche.

Se un processo non torna, si manda una mail con un lapidario “fai tu”. Una dashboard sparisce? Va bene lo stesso, il bel tacere è più comodo del confronto. È così che, senza dichiararlo, il dato cambia padrone: dal business al custode tecnico.

Il risultato è un tacito ribaltamento. I processi aziendali iniziano a piegarsi alle possibilità tecniche, non più agli obiettivi di business. Le scelte strategiche sul patrimonio informativo — cosa raccogliere, come analizzarlo, a chi darlo — non vengono più prese dal vertice, ma emergono “per inerzia” dalle configurazioni di un gestionale, dai limiti di un CRM o dalle preferenze dell’IT manager.

E quando quest’ultimo inizia a somigliare a Ozymandias, la vera tragedia non è che abbia un piano. È che sia l’unico ad averne uno.

L’osmosi di potere si inverte quando il CEO smette di chiedere “posso fidarmi?” e inizia a chiedere “chi decide cosa conta davvero?”. È la domanda che riporta il dato al suo legittimo proprietario. La conversazione cambia: non più “si può fare?” ma “che risultato di business otteniamo se lo facciamo?”. L’IT resta al tavolo, ma risponde a obiettivi di valore, non a imperativi tecnici.

E la governance rinasce. Le decisioni si documentano. I data owner vengono nominati e responsabilizzati. Le modifiche strutturali passano da un processo chiaro. Il know-how smette di essere un patrimonio personale e diventa risorsa aziendale condivisa. L’IT manager rimane un watchman, ma ora sa esattamente cosa protegge e perché.


Appendice – Il protocollo Kaizendo in tre mosse per riportare il guardiano al proprio ruolo

Mossa #1 - Il Monologo del CEO (Rivendicare la proprietà del dato)

Mossa #2 - La Ricerca del Graal (Dialogo orientato al risultato)

Mossa #3 - Le Tavole della Legge (Mettere le regole per iscritto)

La prima mossa è dichiarativa. Non si tratta di alzare la voce per rivendicare un dominio, ma di mettere nero su bianco ciò che l’azienda dà per scontato: “Questo dato è di proprietà del business.” Sembra banale, ma è la frase che ribalta il piano di gioco. Finché non viene detta, l’IT resta l’interprete unico di ciò che esiste e di ciò che è vero.

La seconda mossa è di apertura a un vero dialogo. Si chiama l’IT manager a discutere, ma si porta con sé chi usa davvero quei dati. Non si chiede più “si può fare?” ma “quale risultato di business otteniamo se lo facciamo?”. La conversazione cambia tono: da linguaggio tecnico a linguaggio di scopo. È in quel momento che il guardiano capisce che non sta più parlando a un pubblico passivo, ma a un committente attento.

La terza mossa è di formalizzazione. Tutto ciò che prima era tacito diventa scritto: chi decide cosa, chi approva, dove si conserva il sapere. Non serve una rivoluzione in un giorno: basta iniziare a chiedere che ogni decisione tecnica sia tracciata, motivata e collegata a un obiettivo chiaro (leggetevi l’articolo sul Manuale della Qualità). È la rete di sicurezza che impedisce al guardiano di scivolare di nuovo nell’ombra.

Quando queste tre mosse diventano abitudine, il rapporto si ricompone. L’IT manager smette di essere un Watchman solitario e diventa un alleato strategico. E il CEO, finalmente, torna a governare il tesoro che pensava di avere sempre avuto tra le mani.


Post Scriptum – Una lancia spezzata in favore dell’IT

Caro IT manager, so che, dal tuo punto di vista, sei il “salvatore del mondo”. Ma so anche che il tuo valore non si misura dal numero di dati che correggi per compensare gli errori altrui, né da quante scorciatoie hai inventato per tenere in piedi processi zoppi. Il tuo ruolo è troppo prezioso per restare intrappolato nella micro-manutenzione quotidiana.

Il futuro dell’IT in azienda si gioca sulla capacità di governare rischi sistemici, non di tappare falle quotidiane: pensa al NIS2, alla cyber resilience, alla gestione consapevole delle informazioni. La vera leadership tecnica non si esercita nel decidere quale report è possibile stampare, ma nell’assicurarsi che, qualunque report serva domani, l’azienda abbia le basi per produrlo in sicurezza e autonomia.

Se il CEO deve salire al suo livello di responsabilità, tu devi salire al tuo.


Perché un guardiano che vede lontano non ha bisogno di controllare tutto — gli basta assicurarsi che il futuro sia preservato.

Image

Autore
Enrico Parolin

Chi sono (in breve)

Mi occupo di consulenza strategica con un focus su digital transformation, organizzazione del lavoro e marketing.
In Kaizendo porto metodo, struttura e una certa ossessione per i dati che parlano (e per quelli che non parlano, ma dovrebbero).
Scrivo e progetto strumenti concreti per aiutare le aziende a prendere decisioni più consapevoli, ridurre gli sprechi informativi e trasformare la complessità in qualcosa di semplice, utile e operativo.
Credo nei modelli che funzionano davvero, nella ristrutturazione creativa dei processi e nell’efficacia delle soluzioni silenziose.
Motto personale? La chiarezza è rivoluzionaria.

Kaizendo Logo

© dal 2025 Kaizendo tutti i diritti riservati.
Il design delle immagini è di Freepik

Contattaci

Icona Email Icona Calendario

 

 

Seguici sui social

Icona Linkedin Spotify icon