
Manuale della Qualità
Da obbligo normativo a strumento di valore reale
Provate a chiedere – a bruciapelo – al vostro Responsabile Qualità a cosa serva il manuale.
Per quanto colto alla sprovvista da una domanda così inaspettata, la risposta non si farà attendere.
Il copione è sempre lo stesso – istituzionale, lineare, impeccabile – e vi verrà recitato come una poesia imparata a memoria:
“Il Manuale della Qualità è la base strutturale del nostro sistema.
Non si tratta solo di un requisito normativo a cui ottemperare per ottenere e mantenere la ISO 9001, ma è anche un’utile guida per districarsi tra i processi e le procedure della nostra organizzazione e per tracciare la rotta aziendale, attraverso la misurazione dei giusti indicatori rappresentativi di un’analisi delle performance.”
In linea teorica, il discorso non fa una piega: l’intento è nobile e la sua funzione sembra essere indispensabile. Poi, però, nella pratica, basta chiedere:
“Ma chi lo legge, davvero?”
E lì, il palco casca.
L’atteggiamento si irrigidisce, come se aveste toccato una ferita aperta rigirandoci dentro il dito.
Il sorriso si spegne e, dopo un silenzio carico di tensione, immancabile, arriva la difesa d’ufficio.
Teoria sulla redazione delle procedure vs. realtà aziendale
Eppure è questa la domanda cardine che ci si deve porre quando si mette mano alla stesura di un qualsiasi documento procedurale: scriverlo non dovrebbe essere solo un atto formale per far contenti gli auditor, ma una chiara forma di comunicazione, attraverso la quale si esplicitano e si normano usi e costumi dell’azienda.
E, come ogni comunicazione che si rispetti, per essere davvero efficace, deve sempre riferirsi al destinatario e mai all’autore.
Invece, ciò a cui assistiamo spessissimo è la redazione di documenti autoreferenziali, scritti non da chi svolge l’attività, ma da chi, piuttosto, dovrebbe attestarne la veridicità.
Il tutto in un dettagliatissimo linguaggio in “qualitatese”, incomprensibile ai più.
Senza contare che, una volta realizzato il testo, i suoi contenuti non vengono più revisionati per anni – nemmeno a fronte di cambiamenti importanti – rendendo le procedure obsolete.
Il risultato? Processi e istruzioni operative ideali – perfetti per l’audit -, ma che si discostano completamente dalla realtà aziendale; azioni che nessuno compie poiché ormai desuete; prassi sovrastrutturate che complicano solo la vita ai lavoratori.
Insomma, nella maggior parte dei casi, quello che dovrebbe essere considerato un bignami da consultare alla bisogna, si trasforma invece in un faldone polveroso sullo scaffale più alto, da sfogliare solo prima di ispezioni ufficiali.
L’arte della semplificazione e Ikea come modello di comunicazione efficace
Questo ci porta a una conclusione importante: semplificare non è semplificarsi la vita.
È un gesto di dedizione, di consapevolezza e, talvolta, di coraggio.
Perché saper distinguere l’essenziale dal superfluo e avere la forza di lasciar andare tutto il resto è una virtù simile a quella dello scultore: da un blocco di pietra grezza egli rompe, scolpisce, lima…
...finché non emerge l’opera d’arte.
Prendiamo in esame Ikea: è il perfetto esempio di comprensione e di applicazione del concetto di cui sopra.
Attraverso spiegazioni essenziali, comprensibili e universalmente riconosciute – immagini, simboli e sequenze intuitive – è riuscita a imporsi sul mercato con un’idea rivoluzionaria e democratica: i kit di mobili assemblabili direttamente dal cliente.
Ma Ikea non ha agito solo sul prodotto.
Ha reso accessibile l’intera esperienza: ha reso economico un bene che prima era solo di nicchia; ha eliminato ciò che non era necessario per superare le barriere linguistiche e per evitare inutili tecnicismi; ha trasformato l’operazione di montaggio in un momento ludico gratificante.
In poche parole, ha ridotto la complessità esaltando il valore dell’idea.
Come rendere il manuale della qualità un vero alleato
Tutti noi, nel nostro piccolo, possiamo diventare come Ikea e, per farlo, non servono – almeno all’inizio - grandi stravolgimenti. Solo la capacità e l’audacia di cambiare prospettiva, spezzando le catene della propria routine… e qualche buona abitudine.
Di seguito qualche suggerimento:
- coinvolgete tutte le persone che eseguono una determinata attività e standardizzatela prendendo il meglio da tutti: ognuno di loro, nel corso del tempo e attraverso l’esperienza diretta, ha imparato a eseguirla in modo leggermente diverso e, spesso, perfezionando alcuni passaggi fondamentali. Il loro punto di vista è determinante;
- scrivete solo l’essenziale senza perdervi in un fiume di parentesi, sotto-parentesi o preamboli, per tentare di coprire ogni caso: se l’informazione che state scrivendo non ha impatto sul comportamento di chi legge, ma può essere risolta attraverso il buon senso, allora non è indispensabile;
- usate un linguaggio che chiunque possa comprendere e, laddove possibile, prediligete la parte visuale (diagrammi, immagini, flussi): scrivere procedure che capite solo voi o il certificatore è come nascondere le chiavi di emergenza… dietro una porta col badge. Proprio quella che dovreste aprire quando il badge smette di funzionare;
- testate ciò che avete scritto come fosse un prototipo: spesso diamo per scontate troppe informazioni o passaggi. Per questo motivo, è una persona che non svolge l’attività a doverla provare (sempre in completa sicurezza e supervisionata s’intende). Se serve una spiegazione per poter procedere, significa che c’è ancora qualcosa da migliorare;
- effettuate degli audit interni, a sorpresa e non programmati, per verificare sia la corretta esecuzione delle procedure che la loro attualità. Solo così è possibile osservare ciò che davvero accade sul campo, al netto delle messe in scena pre-audit, e raccogliere informazioni preziose su ciò che funziona, ciò che viene ignorato e ciò che è stato superato dai fatti;
- aggiungete, tra i vostri indicatori, anche il tasso di utilizzo delle procedure presenti nel manuale della qualità: vi permetterà di capire quanto siano efficaci e utili.
Alla fine, un Manuale della Qualità dovrebbe essere uno strumento vivo, in costante evoluzione, non un messaggio scolpito nella pietra.
Quando smettiamo di scrivere solo per adempiere a una normativa e iniziamo invece a farlo per chi realmente ne trae beneficio, tutto assume un significato diverso.
Se questa sfida vi suona familiare, forse è il momento di dare nuova forma al vostro manuale. E se vi fa piacere, sapete dove trovarci.

Autrice
Elena Vecchiolini
Chi sono (in breve)
Mi occupo di consulenza aziendale con una spiccata passione per le persone, la gestione aziendale e la digitalizzazione.
Scrivo articoli per Kaizendo mescolando esperienza, curiosità e una sana dose di ironia. I miei temi preferiti?
Li conoscete già: HR, soft skill, strategie organizzative e tutto ciò che aiuta logica e creatività a convivere nelle scelte aziendali.
Credo nel potere delle domande (ne faccio molte), nell'istinto supportato dalla logica e nello sperimentare soluzioni che non sembrano soluzioni… finché non funzionano.
Motto personale? Non esiste un piano ben congeniato: devi saper seguire la corrente per capire come arrivare al mare.