
Il candidato leggendario:
offerte di lavoro da fantasylandia
Leggo sovente annunci di lavoro che mi fanno accapponare la pelle e, ogni volta - forse per una vena di autolesionismo, forse per morbosa curiosità, ma, soprattutto, per esigenze di lavoro -, mi soffermo ad analizzarne il contenuto.
Lo faccio per far comprendere all’azienda il messaggio – in molti casi sbagliato – che una semplice inserzione possa trasmettere a un potenziale candidato.
Prendiamo questo esempio volutamente esagerato (sebbene non si discosti poi molto dalla realtà):
Titolo:
We are looking for you! Junior Business Growth Specialist (M/F/X/GF Siamo inclusive)
Testo:
Siamo alla ricerca di una risorsa giovane, dinamica e resiliente che sappia pensare out of the box e generare quick wins in un ambiente fast-paced. Il candidato ideale dovrà essere skilled per gestire progetti complessi end-to-end, con un forte orientamento al problem solving e allo stakeholder engagement.
Requisiti minimi:Cosa offriamo:
- Laurea in economia, ingegneria gestionale o equivalenti.
- Almeno 5 anni di esperienza in ruoli simili.
- Conoscenza avanzata del Pacchetto Office, di CRM multipli e AI-based tools. SAP e linguaggio SQL sono considerati un plus.
- Ottimo livello d’inglese e almeno un’altra lingua tra spagnolo, tedesco e cinese.
- Disponibilità a trasferte worldwide (almeno 50% del tempo).
- Positive attitude, “can-do” mindset e passione per le challenges.
- Growth path in un contesto internazionale challenging.
- Team giovane e super-motivato.
- Smart working (1 giorno al mese).
- Retribuzione commisurata alle competenze.
- Benefit e welfare in linea con il mercato.
Il titolo che sembra moderno (ma non lo è)
Il titolo ha tutta l’aria di voler trasmettere una mentalità svecchiata dagli stereotipi e dai pregiudizi.
Tuttavia, l’accostamento “Junior Business Growth Specialist” e “5 anni di esperienza” vengono piazzate con estrema nonchalance, come se le due cose potessero convivere pacificamente senza contraddirsi.
Senza considerare che il necessario bisogno di definirsi “inclusivi” a tutti i costi, suona più come un atto obbligato che come una vera dichiarazione di valori, generando il più che legittimo sospetto che tale pratica venga esibita solo sulla carta e non applicata nella quotidianità.
Il profilo che ha di tutto un po’
Il profilo richiesto, poi, è da manuale: la combo “giovane, dinamico e resiliente”, ormai è diventata un terzetto consolidato in quasi tutti gli annunci, sebbene significhi tutto e niente.
E, a porre una lente d’ingrandimento su quale possa essere la sua interpretazione, verrebbe quasi da pensare che confuti quell’inclusività tanto sbandierata: quindi una quota di candidati viene scartata a priori (o basta essere “giovani dentro”)?
La mescolanza di idiomi, nel tentativo di dare l’idea di un’azienda a respiro internazionale, rende tutto più vago e incomprensibile.
Se questo era solo l’antipasto, ora veniamo alla portata principale.
I requisiti impossibili
Nella sezione dedicata ai requisiti minimi, l’incoerenza nelle richieste è palese.
Si pretende che un profilo junior (che si desume si stia affacciando al mondo del lavoro in questo momento) abbia un’esperienza consolidata nel settore, con conoscenze avanzate di strumenti anche complessi (che, per carità, per passione potrebbe anche avere) e con una spigliatezza sorprendente nel sapersi destreggiare e relazionare con potenziali clienti esteri.
Oltre – non dimentichiamolo – a essere disponibile immediatamente alle trasferte per più del 50% del tempo.
Il che, tradotto nella pratica, sta a significare che si stia cercando una persona all’inizio della propria carriera che però abbia già fatto mezzo giro del mondo e che sappia muoversi come un consulente senior.
Questo tipo di elenco scoraggia un valido candidato che potrebbe sentirsi inadeguato di fronte a tali pretese, lasciando spazio solo a chi, per disperazione o ingenuità, decide di provarci lo stesso (magari mentendo, giusto un pochino, sulle sue reali capacità ed esperienze nel curriculum vitae) .
Qui, viene rivelato anche un dettaglio importante: non è chiaro nemmeno all’azienda chi stia cercando.
Offerta fantasma
La parte rivolta all’offerta, invece, manifesta tutta la sua inconsistenza: non si riesce a comprendere quale sia il piano di sviluppo professionale o di che tipo di supporto si potrà beneficiare per accrescere il proprio bagaglio di competenze ed esperienze.
Lo smartworking, poi, oltre che sembrare fuori luogo in questo contesto, dà l’idea di essere un giocoso pesce d’aprile.
Così come, del resto, la “retribuzione commisurata alle competenze” e “i benefit e welfare in linea con il mercato” che danno l’idea di voler invogliare i potenziali candidati a proporsi senza però esporsi con i termini della proposta (l’azienda sa cosa vuole, ma non è in grado di attribuirgli un congruo valore?).
E, si sa, la mancanza di trasparenza è il miglior modo per alimentare dubbi e sospetti: se non si è in grado di identificare il giusto range di retribuzione, basato sugli inquadramenti del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) o di proporre dei vantaggi competitivi, c’è davvero qualcosa di appetibile da offrire?
In definitiva, più che un testo informativo, sembra una confusa composizione di parole, con la speranza che qualcuno, tra un inglesismo e l’altro, non si accorga della mancanza di un contenuto di valore che permetta al candidato di fare una scelta ponderata.
Se nella confezione manca il contenuto
Mentre un vero annuncio di lavoro è come il packaging di un prodotto: deve sì incuriosire e attrarre, ma anche promettere qualcosa di concreto.
Deve poter far pensare al candidato che sarebbe proprio fantastico lavorare per quella realtà. Il guaio è quando la confezione è più importante del contenuto.
Se un’azienda comunica in questo modo verso l’esterno, cosa troverà il candidato una volta dentro?
Probabilmente le stesse contraddizioni: modernità di facciata, poca chiarezza sui ruoli, con la parola “inclusività” che si perde nei corridoi degli uffici.
Un po’ come chi sostiene che l’abito faccia il monaco perché “la prima impressione è quella che conta”.
Certo, per gli iniziali cinque minuti potrà anche essere così, ma chi vale solo per l’abito che indossa o per la macchina che guida, prima o poi -forse - viene smascherato e difficilmente diventerà una reale risorsa per l’azienda.
Algoritmi alla riscossa
Inoltre, a complicare il quadro c’è un trend crescente: molte aziende si affidano all’intelligenza artificiale per scrivere le job description.
Annunci perfetti nella forma, ma senz’anima. Magari eleganti, ma uniformati alla massa.
Il candidato, però, non cerca un esercizio di stile: vuole capire se lì dentro ci sia davvero spazio per potersi esprimere al meglio.
L’IA può aiutare, certo, ma se manca la personalizzazione il messaggio sarà freddo e respingente. Lo stesso, ahimè, accade nei processi di selezione: filtrare i CV con algoritmi che cercano parole chiave può sembrare efficiente, ma rischia di tagliare fuori persone valide solo perché non hanno usato il termine “giusto”.
Un software può riconoscere competenze tecniche, ma non saprà mai valutare motivazione, capacità relazionali, soft skill o potenziale di crescita.
Qualche consiglio pratico
L’inserzione lavorativa che viene presentata è il biglietto da visita della vostra azienda e, per questo motivo, eccovi alcuni spunti pratici:
- siate chiari: definite bene ruolo e livello. Un candidato junior non può avere 5 anni di esperienza. Specificare chiaramente le responsabilità aiuta a evitare equivoci e candidature inappropriate;
- siate realistici: chiedete competenze raggiungibili, non il curriculum di un supereroe. Requisiti inverosimili scoraggiano i candidati validi e rischiano di attrarre profili inadeguati (o sovrastimati dalla sindrome di
Dunning-Kruger);
siate autentici: il linguaggio conta; meno inglesismi, più sostanza. Comunicare con termini concreti e comprensibili a tutti, trasmette professionalità e sincerità, invece di sembrare solo “in trend”;
siate pertinenti: non limitatevi a chiedere “soft skill generiche” come flessibilità o resilienza. Collegate le competenze trasversali al ruolo e al contesto: ad esempio, capacità di negoziazione per chi si occupa di acquisti o vendita, o comunicazione chiara ed empatia per chi gestisce clienti e team;
siate concreti: indicate benefit e RAL reali, non frasi generiche. Specificare ciò che offrite permette al candidato di valutare realisticamente l’opportunità e riduce dubbi o malintesi.
siate coerenti: inclusività non è un’etichetta, ma una pratica quotidiana. Se dichiarate certi valori, assicuratevi che si riflettano davvero nella cultura aziendale e nei comportamenti quotidiani.
L'importanza delle relazioni
E soprattutto, non dimenticate che una persona non entra in azienda da sola: porta con sé relazioni, connessioni, collaborazioni.
Inserire un ruolo senza considerare le interazioni che avrà con colleghi e reparti è come montare un ingranaggio senza pensare al meccanismo in cui dovrà girare.
Qui la Social Network Analysis (SNA) può essere preziosa: mappa la rete informale, permette di capire meglio quale profilo sia davvero utile, non solo sulla carta, ma nel contesto reale dell’organizzazione.
Perché il futuro dell’azienda passa da come vi saprete porre e da chi sceglierete oggi.
Curate il messaggio, siate chiari, autentici e coerenti: non state scrivendo solo un annuncio, state decidendo a chi lasciare le redini un domani.

Autrice
Elena Vecchiolini
Chi sono (in breve)
Mi occupo di consulenza aziendale con una spiccata passione per le persone, la gestione aziendale e la digitalizzazione.
Scrivo articoli per Kaizendo mescolando esperienza, curiosità e una sana dose di ironia. I miei temi preferiti?
Li conoscete già: HR, soft skill, strategie organizzative e tutto ciò che aiuta logica e creatività a convivere nelle scelte aziendali.
Credo nel potere delle domande (ne faccio molte), nell'istinto supportato dalla logica e nello sperimentare soluzioni che non sembrano soluzioni… finché non funzionano.
Motto personale? Non esiste un piano ben congeniato: devi saper seguire la corrente per capire come arrivare al mare.