È lunedì mattina e Sara, la nuova assunta del Marketing, si presenta alla reception per il suo primo giorno di lavoro. Il suo arrivo era previsto da tre settimane. Giacomo, il receptionist, compresa la situazione, contatta subito il suo responsabile, ma scopre che è in trasferta per un impegno improvviso. Viene quindi coinvolto il Responsabile delle Risorse Umane che prende in carico la questione e, dopo un’indagine preliminare, scopre che:
Il badge non è stato configurato: mancavano alcune informazioni fondamentali e il reparto IT, in attesa di riscontro, aveva scritto al responsabile Marketing (senza ricevere risposta);
nessuno ha richiesto la preparazione della postazione di lavoro;
nessuno ha dato indicazioni su cosa far fare a Sara;
nessuno è a conoscenza della nuova assunzione.
Situazione attuale
Sara non può timbrare, resta ad aspettare in sala riunioni senza pc né accessi, per ore. Quando finalmente le viene assegnata una scrivania libera, si ritrova da sola, con un’agenda vuota e la sensazione netta di non essere ben gradita.
Nessuno si prende davvero cura del suo primo giorno. E la sua motivazione inizia già a crollare.
Cosa ci dice questo caso?
L’onboarding è terra di nessuno: non viene trattata come un processo strutturato, ma come uno spettacolo d’improvvisazione;
c’è confusione su chi deve fare cosa: le attività sono distribuite male e comunicate peggio;
la prima impressione di Sara non è positiva: percepisce l’azienda come poco organizzata e si sente trascurata fin dal primo giorno
questo approccio ha un costo silenzioso: frustrazione, insicurezza e perdita di motivazione già nei primi giorni, proprio quando l’engagement dovrebbe essere massimo.
Come si risolve?
Una onboarding efficace non si improvvisa. Servono metodo, chiarezza nei ruoli, e un sistema che non si inceppi per un’assenza o una mail dimenticata. Vuoi un onboarding che funziona anche quando i responsabili non ci sono?