
AAA Responsabilità
cercasi disperatamente
Scaricare la colpa è un lavoro a tempo pieno: richiede una faccia tosta invidiabile, un pelo sullo stomaco da manuale, un totale disinteresse per gli altri e una certa dote attoriale. Possiamo considerarla una soft skill negativa: non crea valore per il gruppo, ma qualifica l’individuo.
(Kaizendo Style)
Chi respira ogni giorno l’azienda sa quanto queste parole siano tristemente vere.
Anzi, oserei scrivere che molti di noi sono ormai spettatori abituali di uno sport molto praticato a ogni livello della catena di comando: lo scaricabarile.
Ogni volta che emerge un errore, una mancanza o un problema, la responsabilità si trasforma in una palla avvelenata che nessuno vuole trattenere più del necessario.
Così si assiste a una partita sofferta, in cui le persone si lanciano in slalom acrobatici, passaggi fulminei e schiacciate dirette verso il collega più inesperto o sacrificabile. Il tutto per una sola – e piuttosto chiara - ragione: non assumersi la propria responsabilità (sia mai che questa possa divenire un neo su un curriculum – a parole – super patinato).
Supercazzole ed energie sprecate
Il controsenso? Le persone sprecano una quantità sorprendente di energie – e il tempo di tutti - in rocambolesche “supercazzole” degne di un Oscar (per citare un film), al fine di nascondersi, di giustificarsi o di accusare - generalmente i più fragili - anziché utilizzare quella stessa risolutezza per qualcosa di infinitamente più utile e degno di rispetto. Qualcosa che potrebbe rivoluzionare il clima aziendale e rinsaldare la collaborazione:riconoscere gli errori, analizzare cosa non abbia funzionato e perché e trasformare l’accaduto in un momento formativo di confronto e di miglioramento. Allora perché c’è la diffusa tendenza a non assumersi le proprie responsabilità?
Significato di Responsabilità
Prima di rispondere a questa domanda è bene chiarire quale significato venga attribuito a questa soft skill, in ambito lavorativo.
La Responsabilità è la capacità di un individuo di rispettare i propri obblighi, doveri e impegni, in modo affidabile e coerente.
Essere responsabili significa anche assumersi la piena titolarità delle proprie azioni, accettando e gestendo le conseguenze da esse derivanti – positive o negative che siano – senza parafulmini.
Chi possiede un forte senso di responsabilità non si limita a “fare il proprio”, ma mostra iniziativa, prende sul serio i compiti affidati, mantiene le promesse e rispetta le scadenze: predomina, infatti, la consapevolezza dell’impatto che ogni azione può generare su team, progetti e risultati.
Perché essere responsabili non è solo svolgere bene il proprio lavoro, ma significa contribuire attivamente al successo collettivo.
Con questa definizione chiara e condivisa, possiamo finalmente dare qualche chiave di lettura alla domanda che ci siamo posti poco fa (ripetiamola per chi se la fosse già dimenticata):
Perché c’è la diffusa tendenza a non assumersi le proprie responsabilità?
Per cominciare, ci sono persone che hanno comportamenti non etici e che, di fatto, si autoescludono spontaneamente anche dal concetto di responsabilità.
Non è una sorpresa: si sa che questi due principi, spesso, camminano a braccetto. Dove manca l’uno, difficilmente l’altro trova terreno fertile per attecchire.
Un esempio? Quel manager o quel collega che ha fatto della frase “Non è assolutamente colpa mia” il suo mantra quotidiano.
Non è poi infrequente, soprattutto per chi si trova in posizioni apicali, rifuggire da questa virtù a causa del fatto che ammettere un errore venga visto come un gesto di debolezza.
La fallibilità viene percepita come un difetto da mascherare piuttosto che come una tappa normale – e del tutto fisiologica – del percorso di crescita.
In questi casi, si finisce per coltivare una doppia cultura: quella dell’apparenza, con la costruzione di un’illusoria corazza di perfezione e quella del trasferimento della colpa.
Ecco che si ottengono così due piccioni con una fava: da un lato la salvaguardia della propria reputazione; dall’altro, la possibilità di mettere in cattiva luce chi — ironia della sorte — potrebbe essere davvero competente.
Esistono poi gli accentratori che, per mancanza di fiducia o mania del controllo, non sono in grado di delegare. Così convogliano ogni attività o decisione sotto la loro potestà, deresponsabilizzando il team.
Al contrario, ci sono coloro che delegano tutto, ma senza cognizione di causa: pensano che, così facendo, la responsabilità si svanisca magicamente.
È il tipico comportamento di chi ritiene che l’onere si dissolva investendo qualcun altro del problema, sebbene, in realtà, non sia così. (approfondiremo questo tema in un articolo dedicato).
Immancabile poi è la menzione a quegli scenari aziendali più competitivi e tossici, dove l’errore viene punito severamente: sbagliare è ritenuto impensabile e viene preclusa ogni possibilità di imparare dai propri errori.
Per questo motivo, scaricare la colpa diviene l’unica strategia di difesa possibile. Inoltre, chi vive in queste realtà iper-competitive, non solo si perde la lettura del contesto, ma anche la capacità di valutare l’impatto delle proprie azioni. Senza accorgersene, finisce per diventare parte attiva — e inconsapevole — del problema.
Quando la responsabilità diventa un valore
Ora, ribaltiamo il punto di vista. Vediamo cosa accade quando la responsabilità viene riconosciuta per ciò che è davvero: una risorsa fondamentale da coltivare e valorizzare, a beneficio dell’azienda e delle persone che ci lavorano.
In un ambiente che favorisce la responsabilità, ammettere un errore non equivale a esporsi al pubblico ludibrio, ma diventa un gesto di maturità e di rispetto verso se stessi e gli altri.
È un’occasione per trasformare il passo falso in un momento di apprendimento condiviso.
Riconoscere i propri limiti non svilisce: al contrario, rafforza l’affidabilità, crea fiducia e offre un terreno fertile per la crescita.
Potreste rimanere persino stupiti dallo spirito di collaborazione che si crea attorno a un momento di difficoltà: insieme si analizza ciò che non è andato a buon fine e, sempre, insieme, si lavora attivamente per trovare soluzioni migliorative.
Questo perché la responsabilità si coniuga con il miglioramento continuo e l’errore perde la sua connotazione negativa per diventare un tassello utile del processo.
Non solo: chi dimostra responsabilità con umiltà e trasparenza diventa un esempio concreto ed è quasi sempre contagioso.
Quando qualcuno si assume la propria parte con coraggio e lucidità, genera un effetto a catena: gli altri si sentono più sicuri, più autorizzati a fare lo stesso.
E così, senza proclami, si costruisce una cultura positiva in cui le persone si sentono libere di farsi carico della propria parte, sapendo che non verranno giudicate per aver sbagliato, ma stimate per aver scelto di imparare.
In un’azienda così, la responsabilità non è un peso da evitare, ma una forza che dà slancio, rafforza e fa evolvere.
La domanda finale (che non puoi ignorare)
Sei davvero ancora convinto che valga la pena sprecare energie per cercare scuse, scaricare colpe e inventare supercazzole da Oscar, quando potresti usarle per migliorare l’esistenza di tutti?
Comunque, se proprio ami la vita dello scaricabarile, puoi farne una carriera: illusionista della colpa, acrobata della scusa, prestigiatore dell’etica.
Chissà, magari a Las Vegas ti prendono.
Per tutti gli altri: la responsabilità non morde, ma senza di lei niente progredisce davvero.
Provare per credere.

Autrice
Elena Vecchiolini
Chi sono (in breve)
Mi occupo di consulenza aziendale con una spiccata passione per le persone, la gestione aziendale e la digitalizzazione.
Scrivo articoli per Kaizendo mescolando esperienza, curiosità e una sana dose di ironia. I miei temi preferiti?
Li conoscete già: HR, soft skill, strategie organizzative e tutto ciò che aiuta logica e creatività a convivere nelle scelte aziendali.
Credo nel potere delle domande (ne faccio molte), nell'istinto supportato dalla logica e nello sperimentare soluzioni che non sembrano soluzioni… finché non funzionano.
Motto personale? Non esiste un piano ben congeniato: devi saper seguire la corrente per capire come arrivare al mare.