Effetto Zeigarnik e concetto di flow di Mihály Csíkszentmihályi

Il ciclo perfetto:
come il cervello trova piacere nell'affrontare i problemi

Sono le due di notte.
Dormite profondamente nel vostro letto.
La quiete regna sovrana in camera vostra.
All’improvviso, forse guidati da una forza invisibile, vi svegliate di soprassalto: nella mente si forma in modo nitido una nuova idea.
È la possibile soluzione a quel problema di lavoro su cui vi scervellavate da giorni.
Fino a quel momento, ogni tentativo si era rivelato inutile. L’eccitazione è incontenibile.
La prima cosa che fate è afferrare carta e penna per scrivere il ragionamento.
Il giorno dopo, in ufficio, testate la vostra intuizione.
Funziona! Il senso di soddisfazione è intenso, quasi euforico.
Ma dura un attimo.
Liberati da quel pensiero, la mente si tuffa subito in un altro problema.

Il problema come impulso evolutivo

E se vi scrivessi che il nostro cervello è programmato per comportarsi così? Che siano semplici o intricati, non possiamo fare a meno di generare problemi sempre nuovi e/o di buttarci a capofitto nella loro risoluzione.
I problemi, volenti o nolenti, fanno parte del nostro percorso di crescita e le emozioni negative che spesso li accompagnano non sono altro che dei feedback evolutivi, dal valore adattivo, che ci spingono ad apprendere, agire, evolverci e affinarci.
Ma c’è di più: il nostro cervello non ama tenere le cose in sospeso.
Quando ci troviamo di fronte a un ostacolo irrisolto, si genera in noi una sorta di tensione emotiva che immagazzina, conserva e fissa tutte le informazioni relative.
E noi non le lasciamo andare finché non abbiamo chiuso il ciclo. Anche quando consciamente dichiariamo la resa, il nostro cervello continua a lavorarci incessantemente. Anche di notte.

Effetto Zeigarnik

Questo fenomeno prende il nome di effetto Zeigarnik - in onore della psicologa che lo ha postulato - e descrive come quella sensazione di incompiutezza ci faccia ricordare con più intensità e persistenza i compiti incompleti rispetto a quelli portati a termine.

Per inciso: volete conoscere una sua applicazione “divertente” (in senso ironico, s’intende)?
Il maledetto espediente narrativo del cliffhanger: quello che spezza a metà il colpo di scena degli ultimi minuti di un episodio, solo per costringervi a desiderare ardentemente di vedere quello successivo.
Il che, nella maggior parte dei casi, si traduce in una maratona notturna e in una sveglia drammatica la mattina dopo.
Ma stiamo divagando. O forse no.
Perché quel desiderio bruciante di chiudere il cerchio, di sapere come va a finire, non è poi così diverso da quello che proviamo quando ci manca la soluzione a un problema reale.
E, soprattutto, non è casuale. Così, ogni volta che risolviamo un problema – che si tratti di una strategia di lavoro, un rebus mentale o la fine di una serie TV – il nostro cervello ci premia.
Il circuito della ricompensa entra in azione: viene rilasciata dopamina, il neurotrasmettitore del piacere e della motivazione.
È un rinforzo positivo che stimola e incentiva la ripetizione del comportamento.
Quel senso di soddisfazione, per quanto fugace, diventa la miccia che ci spinge a cercare la sfida successiva (e il nostro cervello si nutre di sfide).
Possiamo riassumere questo ciclo con questo schema:

problema → momento di tensione → intuizione → sollievo → nuovo problema.

Come tutto questo ha a che fare col mondo del lavoro?

In teoria, le persone trovano un profondo significato nel rendersi utili e nel contribuire sia alla crescita dell’organizzazione a cui appartengono, sia alla propria.
Per questo motivo non anelano a un ambiente di lavoro in cui tutto sia troppo facile, ripetitivo e meccanico.
Ne prediligono uno in cui abbiano la possibilità di fare la differenza, attraverso momenti di sfida e di crescita personale.
Le aziende più accorte lo sanno: tramutare i problemi in occasioni di confronto e di condivisione, senza pregiudizio alcuno ma con il giusto supporto, aiuta a trattenere i talenti che vengono stimolati a fornire il proprio valore aggiunto e ad accrescere le proprie competenze.
Se poi all’effetto Zeigarnik uniamo il concetto di flow descritto da Mihály Csíkszentmihályi - quello stato mentale in cui si è così immersi in ciò che si fa da perdere la cognizione del tempo, completamente assorbiti nell’attività -, allora il lavoro non verrà mai percepito come una costrizione, ma come un’esperienza appagante e gratificante.

Il lavoro come un videogioco ben progettato

Un po’ come avviene quando ci si appassiona a un videogioco ben calibrato: le missioni sono tarate sul livello del personaggio e, man mano che quest’ultimo cresce (acquisisce nuove abilità, aggiorna il proprio equipaggiamento, perfeziona le proprie tecniche) anche gli incarichi assegnati diventano via via più complessi, ma mai fuori portata.
Si genera quella tensione positiva che, di fronte a una sconfitta, non ci abbatte ma ci spinge a riprovarci con più consapevolezza, convinti di avere (o poter sviluppare) le abilità necessarie per farcela.
Il coinvolgimento diventa totale e non ci rendiamo nemmeno conto dello scorrere del tempo. Al contrario, il nostro interesse scema per un videogioco che abbia compiti troppo semplici e banali, portandoci ad abbandonarlo dopo poco tempo.
Oppure cresce in noi la frustrazione nel caso in cui la quest che dobbiamo portare a termine sia troppo ardua rispetto al livello del nostro personaggio. Il rischio è il famigerato rage quit, con joystick lanciato (anche solo metaforicamente) contro la parete… del burnout.

Post credits:

Per citare un influencer che forse ha capito tutto (o non ha mai lavorato in un’azienda): "Se hai un problema e hai la soluzione… allora qual è il problema?" Se invece la soluzione non ti è ancora chiara… beh, magari possiamo trovarla insieme. Scrivici o prenota un caffè: potremmo affrontare insieme la prossima quest.
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Autrice
Elena Vecchiolini

Chi sono (in breve)

Mi occupo di consulenza aziendale con una spiccata passione per le persone, la gestione aziendale e la digitalizzazione.
Scrivo articoli per Kaizendo mescolando esperienza, curiosità e una sana dose di ironia. I miei temi preferiti?
Li conoscete già: HR, soft skill, strategie organizzative e tutto ciò che aiuta logica e creatività a convivere nelle scelte aziendali.
Credo nel potere delle domande (ne faccio molte), nell'istinto supportato dalla logica e nello sperimentare soluzioni che non sembrano soluzioni… finché non funzionano.
Motto personale? Non esiste un piano ben congeniato: devi saper seguire la corrente per capire come arrivare al mare.

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