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I boardgame formano la classe dirigente
La passione del Grande Timoniere per il Go

Gentile Direzione Marketing,
vi scrivo perché credo di poter portare un contributo concreto alla vostra squadra. Non vengo dai soliti percorsi “business school e corporate”, ma ho accumulato esperienza nella crescita strategica, nel coinvolgimento delle comunità e nella costruzione di brand in contesti dove ogni mossa conta davvero.


Spesso penso al marketing come a una partita a Go: a volte conviene allungare il passo, altre devi presidiare con attenzione ogni spazio, costruire posizionamenti solidi e fare scelte ponderate. Non basta muovere le pedine, ma occorre leggere la scacchiera, controllare territori e pianificare mosse future.


Oggi un buon responsabile marketing sa che non si tratta solo di campagne lampo o annunci clamorosi. Serve posizionamento chiaro, con storie coerenti e riconoscibili in tutti i punti di contatto. Serve fidelizzazione intelligente, trasformando i clienti in veri sostenitori del brand. Serve anche scalabilità sostenibile, creando iniziative che generino valore replicabile senza sprechi.


Ho messo alla prova questi principi su un piccolo prodotto editoriale, tascabile e dal caratteristico colore rosso. In breve tempo è diventato un’icona, un vero e proprio simbolo del brand che le persone portavano con sé ovunque. Oggi lo chiameremmo un esempio perfetto di marketing virale dei contenuti, ma la sua forza stava nella semplicità e nella coerenza, più che in strategie digitali complesse.


Non propongo scorciatoie o colpi ad effetto: propongo un metodo. Brand e contenuti vanno orchestrati come mosse su una scacchiera strategica, bilanciando audacia e disciplina.


Se cercate qualcuno che sappia pensare come un giocatore attento e visionario, ma agire come un moderno responsabile marketing, allora forse potrei essere la persona giusta.

Cordiali saluti,
Un appassionato di strategie…
Mao Zedong



P.S.
Verso la fine della mia carriera, alcune delle leve che avevo contribuito a creare—nella prospettiva di rafforzare il brand, di difendere il pensiero rivoluzionario—vennero distorte da una fazione che si fece chiamare “Banda dei Quattro”. Le loro decisioni portarono eccessi di propaganda, conflitti interni, danni culturali ed economici rilevanti per tutti. Ricordo ancora quanto sia fondamentale—sia per un brand che per un’organizzazione—monitorare l’integrità della strategia e prevenire distorsioni che possono indebolire l’identità e il valore costruiti con fatica.


L’immaginaria lettera di presentazione del più improbabile candidato, in realtà, ci dà lo spunto per introdurre un tema affascinante: il gioco come metafora per il mondo aziendale di oggi.

Mentre gli scacchi ci insegnano a difendere un re e a pianificare mosse in sequenza, il Go mette al centro il controllo dello spazio e l’influenza diffusa. Non conta tanto conquistare subito, quanto creare le condizioni perché l’avversario si restringa da solo, rimanendo senza ossigeno.

Se il parallelismo tra tavoli da gioco e vita manageriale vi sembra forzato, lasciate che vi racconti qualche lezione concreta che il Go regala al business.

Non serve difendere ogni pedina: conta presidiare i confini, pensare ai territori. In azienda non si possono proteggere tutti i prodotti o i mercati, meglio scegliere quelli che garantiscono un’influenza duratura.

Anche il vuoto è parte della strategia: sulla scacchiera lasciare spazi vuol dire creare respiro e opportunità future. Tradotto nel quotidiano, significa non saturare risorse, lasciare margini di manovra, tempo per innovare e investire.

Il Go ragiona per ecosistemi, non per singoli colpi andati a segno: un gruppo che oggi sembra secondario può diventare domani il ponte che unisce altre aree. In azienda la logica è la stessa: meglio creare piattaforme e connessioni che iniziative isolate.

Ogni tanto serve sacrificare per crescere: lasciare andare un gruppo di pietre può rafforzare altrove. È l’analogo del marketing che abbandona segmenti poco redditizi per rafforzare i cluster più promettenti.

Infine, nel Go l’influenza conta più del possesso: un territorio vuoto, se sotto il tuo controllo, è già tuo. È la stessa dinamica del branding, dove non serve presidiare ogni canale, basta essere presenti nella percezione.


Ora, se il Go vi sembra troppo distante dalla nostra cultura o graficamente un po’ spartano, ci sono i boardgame moderni che hanno raccolto la stessa logica e l’hanno resa accessibile. Twilight Struggle (GMT) traduce la Guerra Fredda in un gioco di influenza globale, più vicino al Go che agli scacchi. Through the Ages (Vlaada Chvátil) dimostra che il progresso non è mai lineare, ma il risultato di un equilibrio sottile tra risorse, popolazione e cultura. Pandemic (Matt Leacock) porta in tavola un’altra lezione fondamentale: solo la cooperazione distribuita permette di affrontare le complessità sistemiche.

Ecco allora che il gioco diventa non soltanto simulazione, ma un vero laboratorio strategico. Ti allena a pensare in termini di scenari, trade-off, collaborazione. E il passo successivo è portarli dentro l’azienda. Non a caso la gamification sta crescendo di importanza: KPI trasformati in obiettivi di missione condivisi, dashboard che diventano mappe di territori da presidiare, incentivi che stimolano l’ingaggio del team come se fosse una campagna cooperativa.


Il punto, in fondo, non è “giocare”, ma imparare a pensare meglio. Leggere gli spazi, gestire l’influenza più che il possesso, saper sacrificare il breve per il lungo periodo. Che sia la griglia bianco-nera del Go o la mappa di un wargame moderno, il tavolo da gioco ci ricorda che il business non è mai solo una partita di mosse immediate: è un’arte di posizionamento, influenza e resilienza.

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Autore
Enrico Parolin

Chi sono (in breve)

Mi occupo di consulenza strategica con un focus su digital transformation, organizzazione del lavoro e marketing.
In Kaizendo porto metodo, struttura e una certa ossessione per i dati che parlano (e per quelli che non parlano, ma dovrebbero).
Scrivo e progetto strumenti concreti per aiutare le aziende a prendere decisioni più consapevoli, ridurre gli sprechi informativi e trasformare la complessità in qualcosa di semplice, utile e operativo.
Credo nei modelli che funzionano davvero, nella ristrutturazione creativa dei processi e nell’efficacia delle soluzioni silenziose.
Motto personale? La chiarezza è rivoluzionaria.

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