
Potare per far fruttare
Cosa insegna la vite alla Balanced Scorecards
Il titolo può suonare curioso, persino un po’ strano per chi si occupa di impresa. Ma vi garantisco che, se avrete la pazienza di seguirmi fino in fondo, tutto avrà un senso. Perché, tra le tante metafore che si possono usare per parlare di organizzazione aziendale, ne ho scelta una che conosco da vicino: quella del vigneto.
La vite non è un albero, né un arbusto. È una liana e, come tutte le liane, cresce in modo tutto suo: si allunga, si ramifica, e in ogni suo segmento — circa ogni 10 cm — sviluppa una gemma. Da lì può nascere una foglia, un grappolo, un tralcio o un semplice germoglio. Ma il vero motore di tutto questo non si vede: sono le radici. È da lì che arriva la linfa, l’energia che permette alla pianta di svilupparsi.
Chi coltiva la vite sa che, per ottenere uva buona, non basta lasciarla crescere liberamente. Bisogna guidarla. Serve potare e potare bene. Farlo male può voler dire ottenere una pianta rigogliosa, certo, piena di foglie e tralci… ma priva di frutto. Esteticamente bella, ma economicamente inutile.
E in azienda? Succede esattamente lo stesso.
Tutti vogliamo che la nostra impresa cresca, che produca risultati, margini, valore. Ma troppo spesso ci si ritrova con strutture gonfie, piene di fogli Excel, mail, ruoli e mansioni… e poca sostanza. Tanti tralci, pochi grappoli.
È qui che entra in gioco uno strumento che, nel mondo della gestione, ha una potenza troppo spesso sottovalutata: la Balanced Scorecard, o BSC.
Per capirla, possiamo usare un ragionamento simile a quello dei “Cinque Perché” del pensiero Lean: si parte da un obiettivo semplice — generare valore che sia economico o sociale - e si risale a ritroso, fino a capire cosa davvero lo rende possibile. Spoiler: non sono i processi in sé, non sono le riunioni, e nemmeno le slide. È il cliente. È il flusso di valore che parte da lui e si muove verso l’azienda.
Proprio come le radici che portano linfa alla vite, i clienti alimentano l’intero sistema aziendale. Ma attenzione: non tutti i clienti sono uguali. Alcuni sono sani, profondi, affidabili. Altri sono superficiali, instabili, persino tossici. Capire bene chi vi dà linfa, da dove arriva davvero il vostro fatturato, quali relazioni hanno futuro e quali invece assorbono risorse senza restituire nulla, è il primo passo per qualsiasi strategia sensata.
Da lì in poi, si sale lungo il fusto della vite — e nella BSC si guarda alla struttura commerciale. Come arriva il valore al cliente? Attraverso quali canali, quali modalità, quali persone? Agenti, e-commerce, filiali, distributori, servizi a valore… ogni azienda ha la sua combinazione.
Tutti vogliamo che la nostra impresa cresca, che produca risultati, margini, valore. Ma troppo spesso ci si ritrova con strutture gonfie, piene di fogli Excel, mail, ruoli e mansioni… e poca sostanza. Tanti tralci, pochi grappoli.
Ma non tutto va mantenuto solo perché “c’è sempre stato”. Così come un vignaiolo decide se mantenere un tralcio o tagliarlo in base a quanto produce, anche un imprenditore dovrebbe chiedersi: questa parte della mia struttura serve davvero? Porta frutto? O la sto solo alimentando per inerzia?
Il passo successivo riguarda i processi. Una volta definita la struttura commerciale, bisogna chiedersi: quali attività devono essere fatte per sostenerla davvero? Qui entrano in gioco le operazioni quotidiane: produzione, logistica, assistenza, gestione interna. Ma anche qui, il criterio è lo stesso: non tutto ciò che si fa serve davvero. I processi dovrebbero essere progettati e ottimizzati in funzione del cliente e della vendita, non per soddisfare la burocrazia interna. Altrimenti si finisce con il coltivare foglie invece che grappoli.
Infine c’è l’ambiente. Non quello naturale, ma quello umano. Perché anche la migliore struttura, anche i processi più efficienti, non vanno da nessuna parte se le persone non sono allineate, preparate, coinvolte. Ecco perché la BSC si chiude con la prospettiva più sottile ma anche più strategica: la crescita delle competenze, la cultura organizzativa, la formazione, la capacità di adattamento. È qui che si decide la resilienza di un’impresa. Un po’ come nella vite: puoi anche avere un impianto perfetto, ma se il terreno è povero o le cure sono sbagliate, i frutti non arrivano.
Ecco, tutto questo è la Balanced Scorecard. Non un modello astratto, ma una vera e propria guida alla potatura. Perché alla fine strategia significa scegliere cosa nutrire e cosa lasciare andare. Significa essere consapevoli che la crescita non sta nel fare di più, ma nel concentrare le energie dove si genera valore. E sì, a volte serve tagliare. Fa male, ma è necessario.
Un bravo vignaiolo lo sa: una pianta potata bene produce poco, ma di qualità. In azienda, il principio è lo stesso.
In questo articolo abbiamo visto come la Balanced Scorecard possa diventare una guida concreta alla semplificazione, alla selezione e alla focalizzazione. E come, talvolta, basti un buon paio di cesoie — metaforiche s’intende — per restituire equilibrio e frutto alla struttura aziendale.
Nei prossimi approfondimenti condivideremo anche una versione sintetica della BSC pensata per manager e imprenditori: uno strumento operativo da tenere sul tavolo per leggere con più chiarezza la propria azienda e decidere dove intervenire.
Perché, alla fine, la vera semplificazione non è fare di meno, ma capire meglio dove mettere le mani.

Autore
Enrico Parolin
Chi sono (in breve)
Mi occupo di consulenza strategica con un focus su digital transformation, organizzazione del lavoro e marketing.
In Kaizendo porto metodo, struttura e una certa ossessione per i dati che parlano (e per quelli che non parlano, ma dovrebbero).
Scrivo e progetto strumenti concreti per aiutare le aziende a prendere decisioni più consapevoli, ridurre gli sprechi informativi e trasformare la complessità in qualcosa di semplice, utile e operativo.
Credo nei modelli che funzionano davvero, nella ristrutturazione creativa dei processi e nell’efficacia delle soluzioni silenziose.
Motto personale? La chiarezza è rivoluzionaria.